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Archivi del mese: Aprile 2013

Maggio, il mese mariano

Carissimi, 
la preziosa tradizione della nostra parrocchia, di trovarci  di sera nel mese di Maggio per pregare assieme il Santo Rosario, giovani e anziani, uomini e donne, sani e malati, bambini e famiglie, è  un’occasione bella non solo per incontrare i nostri vicini, ma anche per fare presente il “CIELO” nella nostra terra e nelle nostre famiglie.
Sempre più, magari senza accorgerci, ci troviamo coinvolti dalla fretta, dalle ansie, dalle cose da fare, e in fondo un po’ tutti sentiamo il desiderio di  un po’ di sana pace e di vero coraggio in un momento così difficile.
Anche Gesù sentiva il bisogno di stare un poco  in disparte con i suoi, per avere momenti intensi di tranquillità e di preghiera che Lo aiutassero per la Sua missione. Forse fu proprio in uno di questi momenti  che i discepoli gli chiesero: ”Gesù, insegna anche a noi a pregare”. 
Per questo, sono contento di riproporre a tutti i Pontiniesi la bella e terapeutica tradizione di ritrovarci a vivere con semplicità  questi momenti serali di preghiera con Maria.
Forse nascerà anche in noi, piano piano, il desiderio di dire: “Maria, insegnaci a pregare, anzi, prega per noi e con noi… che siamo figli tuoi!
Il Rosario, preghiera semplice, è anche una forma per  “abbracciare i nostri cari che già ci hanno preceduto” e per “stare vicino e sostenere” quelli con cui viviamo.
Pregare è un’ atteggiamento interiore, ma si trasforma in forza e coraggio per la vita.

P.S. Non abbiamo paura ad invitare le persone che amiamo e che vorremmo amare. Buon Mese di Maggio.                             

P. Valeriano Montini

Amare l’altro con lo ‘stile’ di Gesù

Vi do un comandamento nuovo, che vi amiate gli uni gli altri.
Sì, ma di quale amore? Parola così abusata, parola che a pronunciarla male brucia le labbra, dicevano i rabbini. Noi confondiamo spesso l'amore con un'emo­zione o un'elemosina, con un gesto di solidarietà o un momento di condivisione.
Amare sovrasta tutto questo, perché contiene il brivido e­mozionante della scoperta dell'altro, che ti appare non più come un oggetto ma come un evento, come colui che ti dà il gusto del vivere, che spalanca sogni, che ha la forza dolce delle nascite, che ti fa nascere, con il meglio di te. Per amare devo guardare u­na persona con gli occhi di Dio, quando adotto il suo sguardo luminoso divento capace di scoprirne tutta la bellezza e grandezza e uni­cità. E da questo si sprigiona fervore, meraviglia, incanto del vivere. Io vado dall'altro come ad una fonte, e mi disseta. Allora lo posso amare, e nell'amore l'altro diventa il mio maestro, colui che mi fa camminare per nuovi sentieri. Allo stesso modo anche i due sposi devono amarsi come due maestri, ciascuno maestro dell'altro, ciascuno messo in cammino verso orizzonti più grandi. Lasciarsi abitare dalle ricchezze dell'altro, e la vita diventa immensamente più felice e libera. Allo stesso modo anche il povero che incontro o lo straniero che bussa alla mia porta li posso guardare come fossero i «nostri signori» (san Vincenzo de Paolis), e imparare quindi a dare come faceva Gesù: non come un ricco ma come un povero che riceve, come un mendicante d'amore. E pensare davanti al povero: sono io il povero, fatto ricco di te, dei tuoi occhi accesi, della tua storia, del tuo coraggio.
Vi do un comandamento nuovo. Non si tratta di una nuova ingiunzione, ma della regola che protegge la vita umana, dove sono riassunti del destino del mondo e la sorte di ognuno: «abbiamo tutti bisogno di molto amore per vivere bene» (Maritain).
Dove sta la novità? Già nell'Antico Testamento era scritto ama Dio con tutto il cuore, ama il prossimo tuo come te stesso.
La novità del comando sta nella parola successiva: Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri.
Non dice quanto vi ho amato, impossibile per noi la sua misura, ma come Gesù, con il suo stile unico, con la sua eleganza gentile, con i capovolgimenti che ha portato, con la sua creatività: ha fatto cose che nessuno aveva fatto mai. I cristiani non sono quelli che amano (lo fanno in molti sotto tutte le latitudini) ma quelli che amano come Gesù: se io vi ho lavato i piedi così fate anche voi, fatelo a partire dai più stanchi, dai più piccoli, i vostri signori…
Come Lui, che non solo è amore, ma esclusivamente amore.

P.Ermes Ronchi

Piamarta’s Day 25/04/2013

In una splendida giornata di sole, nell'accogliente parco "Baden Powell" dell'oratorio, si è celebrato il Piamarta's Day, Erano presenti molti ragazzi che hanno preso parte ai diversi giochi e attività, organizzati dai ragazzi del gruppo Scout e del gruppo di AC, Al termine delle attività della mattina, i ragazzi insieme ad alcuni genitori hanno pranzato in oratorio, dove Antonio come da tradizione ha preparato un ottimo primo piatto per tutti i presenti.

Nel pomeriggio a culmine dell'evento, è stata celebrata la Santa Messa all'ombra di un grande albero, in ricordo del santo del nuovo millennio.

Si ringraziano tutti i ragazzi che hanno dato la propria disponibiltà, padre Valeriano e padre Nicola.

Centenario Giovanni Battista Piamarta 1913 – 2013

Diventare santi……….

Ogni uomo è chiamato alla santità, che “è pienezza della vita cristiana e perfezione della carità, e si attua nell ‘unione intima con Cristo, e, in lui, con la Santissima Trinità. Il cammino di santificazione del cristiano, dopo essere passato attraverso la Croce, avrà il suo compimento nella Risurrezione finale dei giusti, nella quale Dio sarà tutto in tutte le cose”

ll mezzo primo e più necessario è l’Amore, che Dio ha diffuso nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo, che ci fu dato e con il quale amiamo Dio sopra ogni cosa e il prossimo per amore di Lui. Ma perché l’amore, “come buon seme, cresca e nidifichi, ogni fedele deve ascoltare volentieri la Parola di Dio e con l’aiuto della sua grazia compiere con le opere la sua volontà, partecipare frequentemente ai Sacramenti, soprattutto all’Eucaristia, e alle azioni liturgiche; applicarsi costantemente alla preghiera, all’abnegazione di se stesso, all’attivo servizio dei fratelli e all’esercizio di tutte le virtù.

Ognuno può e deve diventare santo secondo i propri doni e uffici, nelle condizioni, nei doveri o circostanze che sono quelle della propria vita.
Le vie della santità sono pertanto molteplici, e adatte alla vocazione di ciascuno. Tanti cristiani, e tra loro molti laici, si sono santificati nelle condizioni più ordinarie della vita.

 

Pellegrinaggio a S.Rita da Cascia

 
“Vorrei trasmettere il film di questa giornata alla mia famiglia, con le stesse emozioni e speranze con cui l’ho vissuta io!”.
Brava, Onorina, hai interpretato il pensiero di tutti noi.
Anche noi, come il poeta, potremmo dire: ”Stagion lieta è cotesta…” annunciata già dalla letizia provata all’annuncio dell’”Habemus papam… Franciscum” e dall’irrompere della Pasqua di Risurrezione. È ora di rinnovarsi, è ora di andare come pellegrini nell’anno della fede. Ed anche noi partiamo per Cascia, sotto l’accurata organizzazione del pazientissimo William Sacchetto e con la guida straordinaria del nostro parroco, padre Valeriano Montini.
Parte solo un pullman (nessun posto libero), ma è come se si spostasse una piccola, privilegiata porzione della nostra parrocchia.
Sono seduta giù in fondo e, davanti a me, osservo sporpresa persone attentissime, attratte dall’assertiva, lieta e profonda spiritualità del parroco, che ci spiega gli inni e i salmi delle lodi mattutine, i canti e le meditazioni tratte dall’Imitazione di Cristo a supporto di rosari intensamente partecipati. […]
 
Continua la lettura: Pellegrinaggio S.Rita
 
 

Quella domanda: mi ami tu?

Gli Apostoli sono tornati là dove tutto ha avuto inizio, al loro mestiere di prima, alle parole di sempre: vado a pescare, veniamo anche noi; e poi notti di fatica, barche vuote, volti delusi. L'ultima apparizione di Gesù è raccontata nel contesto della normalità del quotidiano. Dentro di esso, nel cerchio delle azioni di tutti i giorni anche a noi è dato di incontrare Colui che abita la vita e le persone, non i recinti sacri.
Gesù ritorna da coloro che l'hanno abbandonato, e invece di chiedere loro di inginocchiarsi davanti a lui, è lui che si inginocchia davanti al fuoco di brace, come una madre che si mette a preparare da mangiare per i suoi di casa. È il suo stile: tenerezza, umiltà, custodia. Amici, vi chiamo, non servi. Ed è molto bello che chieda: portate un po' del pesce che avete preso! E il pesce di Gesù e il tuo finiscono insieme e non li distingui più. In questo clima di amicizia e semplicità, seduti attorno a un fuocherello, si svolge il dialogo stupendo tra Gesù e Pietro.
Gesù, maestro di umanità, usa il linguaggio semplice dell'amore, domande risuonate sulla terra infinite volte, sotto tutti i cieli, in bocca a tutti gli innamorati che non si stancano di sapere: mi ami? Mi vuoi bene?
Semplicità estrema di parole che non bastano mai, perché la vita ne ha fame; di domande e rispo­ste che anche un bambino capisce perché è quello che si sente dire dalla mamma tutti i giorni.
Il linguaggio del sacro diventa il linguaggio delle radici profonde della vita. La vera religione non è mai separata dalla vita.
Seguiamo le tre domande, sempre uguali, sempre diverse: Simo­ne, mi ami più di tutti? Pietro ri­sponde con un altro verbo, quello più umile dell'amicizia e dell'affetto: ti voglio bene. Anche nella seconda risposta Pietro mantiene il profilo basso di chi conosce bene il cuore dell'uomo: ti sono amico. Nella terza domanda succede qualcosa di straordinario. Gesù adotta il verbo di Pietro, si abbassa, si avvicina, lo raggiunge là dov'è: Simone, mi vuoi bene? Dammi affetto, se l'amore è troppo; amicizia, se l'amore ti mette paura. Pietro, sei mio amico? E mi basterà, perché il tuo desiderio di amore è già amore.
Gesù rallenta il passo sul ritmo del nostro, la misura di Pietro diventa più importante di se stesso: l'amore vero mette il tu prima dell' io. Pietro sente il pianto salirgli in gola: vede Dio mendicante d'amore, Dio delle briciole, cui basta così poco, e un cuore sincero.
Nell'ultimo giorno sono certo che se anche per mille volte avrò tradito, il Signore per mille volte mi chiederà soltanto questo: Mi vuoi bene? E io non dovrò fare altro che rispondere per mille volte, soltanto questo: Ti voglio bene.

P. Ermes Ronchi

Centenario Piamarta

Nel cuore del cielo il nostro alfabeto d’amore

A noi giovò più l'incredulità di Tommaso che non la fede degli apostoli (Gregorio Magno). Tommaso ci è più utile degli altri. Perché ci mostra quale grande educatore fosse Gesù: aveva formato Tommaso alla libertà interiore, al coraggio di dis­sentire per seguire la propria coscienza.
Erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per paura dei Giudei.
Una comunità chiusa, impaurita, a porte sbarrate; Tommaso no, lui va e viene, è un coraggioso (aveva esortato i suoi compagni: andiamo anche noi a morire con lui!). Lì dentro si sentiva mancare l'aria.
Abbiamo visto il Signore, qui, quando tu non c'eri, gli dicono. E lui: se non vedo con i miei occhi non vi credo.
Tommaso è un prezioso compagno di viaggio, come tutti quelli, dentro e fuori della chiesa, che vogliono vedere, vo­gliono toccare, con la serietà che meri­ta la fede; tutti quelli che sono esigenti e radicali, e non si accontentano del sentito dire, ma vogliono una fede che si incida nel cuore e nella storia.
Che bello se anche nella Chiesa fossimo educati con lo stile di Gesù, che forma­va più alla serietà e all'approfondimento, alla libertà e al coraggio, che non all'ubbidienza. P. Vannucci esortava: non pensate pensieri già pensati da altri. Per non fare spreco dello Spirito.
Poi il momento centrale: l'incontro con il Risorto. Gesù invece di imporsi, si propone, si espone: Metti qui il tuo dito; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco.
Gesù rispetta la sua fatica e i suoi dubbi; rispetta i tempi di ciascuno e la complessità del vivere. Non si scandalizza, si ripropone con le sue ferite aperte. La risurrezione non ha richiuso i fori dei chiodi, perché la morte di cro­ce non è un semplice incidente da su­perare, è invece qualcosa che deve restare per l'eternità, gloria e vanto di Cristo, il punto più alto, la rivelazione massima dell'amore di Dio. Nel cuore del cielo sta, per sempre, carne d'uomo fe­rita. Nostro alfabeto d'amore.
Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e han­no creduto! Ecco una beatitudine che sento finalmente mia, le altre le ho sem­pre sentite difficili, cose per pochi coraggiosi, per pochi affamati di immenso.
Finalmente una beatitudine per tutti, per chi fa fatica, per chi cerca a tentoni, per chi non vede, per chi ricomincia.
Beati voi… grazie a tutti quelli che credono senza necessità di segni, anche se hanno mille dubbi, come Tommaso. Sono quelli che se una volta potessero toccare Gesù da vicino  vedere il volto, toccare il volto  se una volta potranno vederlo, ma in noi, anch'essi diranno: Mio Signore e mio Dio!

P. Ermes Ronchi

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