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Archivi del mese: Settembre 2012

Padre Piamarta, Santo il 21 Ottobre

 
 
"Fate crescere i giovani aperti e sinceri,
vivaci ed allegri, avveduti ed attivi.
La società ha bisogno di figli disinvolti ed operosi,
anziché di devoti concentrati, misantropi e
scrupolosi, che non sono buoni per sé
né per gli altri".
(dallo statuto del '900 di P. Piamarta) 
 
 

Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome …

Se vogliamo seguire Gesù nella verità del Vangelo ed essere veri figli del nostro Santo Fondatore, dobbiamo diventare servi e diventare bambini. “Servire” è il verbo che sintetizza tutta la vita di Gesù: “Il Figlio dell’uomo non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti” (Marco 10,45), e che deve caratterizzare la vita del cristiano. Questo “servire” non ha limiti, non dice mai basta, si mette il grembiule e lava i piedi dei fratelli. La vera grandezza davanti a Dio non dipende dalla riuscita materiale, dallo spessore del proprio portafoglio, da un conto in banca con parecchi “zero”, ma nel mettere la propria vita a servizio degli altri. Purtroppo per molti “riuscire” nella vita significa far soldi a palate, salire sul podio degli onori, raccogliere a piene mani le gioie della vita. Contro questa mentalità “terra terra” Gesù proclama che non esiste grandezza se non viene dal dono di sé disinteressato e generoso, dal servizio verso gli altri, soprattutto dei più indifesi e disprezzati. “Se non diventerete come i bambini, non entrerete nel Regno dei cieli” (Cfr. Matteo 18,3).

Naturalmente Gesù non ci chiede di ripercorre all’indietro i nostri anni, chiede invece di acquisire una mentalità semplice come quella dei bambini. Si tratta di abbandonare il desiderio di primeggiare che ci sta prendendo, si tratta di non essere ambiziosi e di non voler stare un gradino al di sopra degli altri. Il bambino dipende docilmente e spesso totalmente dagli altri. Anche questo punto di vista diventa esemplare per noi credenti, perché nel nostro rapporto con Dio dobbiamo acquisire un atteggiamento di dipendenza docile e spontanea per lasciarsi condurre per mano da Lui. Gesù conclude le sue parole dicendo: «Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato» (Marco 9,37). Questo immedesimarsi di Gesù nel bambino ribadisce ancora una volta l’efficacia del modello proposto: il bambino, proprio perché indifeso, docile e incapace di ambizione, diventa immagine di Gesù che, pur essendo Dio, si è fatto piccolo, umile, per incontrare l’uomo.

Padre Gian Carlo

Seguire Cristo con umiltà

“Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà" (Marco 8,34-35). Non basta riconoscere che Gesù è il Signore ed il Messia per essere suoi discepoli … si deve seguire il suo stile di vita, fare le sue stesse scelte, accettare di fare la volontà del Padre … fino alla croce.

La croce però non va cercata per se stessa, non è frutto di autolesionismo, ma è segno di un amore senza misura e quindi di una vita non persa ma realizzata, segno della propria fedeltà a Cristo. Come Gesù ha salvato il mondo “facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce”(Filippesi 2,8), così anche il discepolo ogni volta che sopporta sofferenza e persecuzione per non cedere al compromesso, per essere fedele a Dio ed al suo piano sul mondo, diventa causa di salvezza, manifestazione della potenza di Dio che salva per mezzo della croce. Portando dietro a Gesù la sua croce il cristiano “da compimento a ciò che, nei patimenti di Cristo, manca nella sua carne, a favore del suo corpo che è la Chiesa” (Cfr. Colossesi 1,24). Mettiamoci a seguire Cristo con umiltà, fedeltà e carità. Buona settimana e Dio ti benedica.

Padre Gian Carlo

Quando il parroco cambia

Tempo di cambi, quindi, traslochi, non solo di mobili e libri, ma di addii e nuove partenze. Ma quale significato dare a questi eventi che accompagnano periodicamente e costantemente la vita delle comunità? Come viverli nella fede e non solo come notizia che stimola la curiosità o, spesso, il pettegolezzo ecclesiastico?

Ogni distacco ha una duplice dimensione. È fonte di sofferenza, perché infrange alcune relazioni umane. Il prete che per anni è pastore di una comunità impara ad amarla, a costruire legami con le persone, a volte anche di bella familiarità e perfino di amicizia. Crea rapporti con l’ambiente, con le autorità civili che lo governano, perfino con le strutture: le opere parrocchiali che ha contribuito a restaurare per il servizio alla comunità e la sua casa – la canonica – che è diventata negli anni, in un certo senso, un prolungamento della sua umanità, del suo modo di porsi in rapporto con la gente. Soprattutto con la sua chiesa, dove ogni domenica per anni ha radunato i fedeli per celebrare l’Eucaristia.

Il cambiamento di parrocchia è il segno più eloquente della provvisorietà che tutte queste realtà umanamente importanti ed arricchenti hanno per la vita del prete. La rinuncia a queste cose fa male se il prete è un uomo autentico e come tale consapevole che la grazia del Signore non può che passare attraverso i colori e le sfumature della sua umanità.

Ma la rinuncia – dover ‘tagliare’ per ‘ripartire’ altrove – è anche la radice della sua identità di apostolo del Regno di Dio. Ecco allora il secondo e più importante significato del ‘distacco’: è il segno tangibile e concreto della sua appartenenza al Signore.

La verità è che il prete non ‘si appartiene’ e non ‘appartiene’ alla sua gente se non per fede. Se per un breve o lungo tratto della vita ha avuto come compagna di cammino una comunità storicamente determinata sa che non è per sempre perché egli appartiene a Dio e in Lui conosce, ama e accoglie gli uomini.

È dilatazione dell’Eucaristia, il dono della vita di Gesù, che celebra ogni giorno per la sua gente. In quanto uomo, soffre quando deve dire ‘addio’, ma questa sofferenza si trasforma in straordinaria libertà interiore. Davvero strana e bella è la vita del prete: chiamato ad amare le persone di cui è pastore ad una ad una, amarle fino in fondo, ma amarle gratuitamente, senza legarsi ad esse. Amarle nell’amore di Dio. In questo amore, sostenuto e sostanziato dalla scelta del celibato e  all’obbedienza, si riflette almeno un poco l’amore libero e gratuito del Signore. Solo per questo motivo il prete, dopo che ha pianto per la sofferenza del distacco, trova la gioia di rimettersi al lavoro, la forza di ricominciare.

Scopre la capacità di rinnovarsi, di convertirsi ancora e mantenersi, anche se passano gli anni, nella perenne giovinezza di chi appartiene all’eternità di Dio.

Alle comunità il passaggio di un sacerdote lascia comunque un segno: spesso è una memoria di bene, a volte è memoria di fatica e dolore. Nel bene e nel male resteranno per sempre radicate in lui e nei tanti che ha incontrato e, anche a distanza di anni, il ricordo nutrirà la sua e la loro fede plasmandone inevitabilmente la vita.

Padre Gian Paolo

Coraggio, non temete, ecco il vostro Dio!

Dite agli smarriti di cuore: "Coraggio, non temete, ecco il vostro Dio …”!  Ho incontrato in questi giorni una persona, di 51 anni con vari anni di sofferenza, che con la luce dei suoi occhi e del suo viso mi ha testimoniato la forza di questa Parola del profeta Isaia. Con le sue parole semplici mi testimoniava che sente Gesù vicino alla sua vita e che Gli ha chiesto di donarlo a tutti quelli che ne sentono il bisogno…

Non erano solo parole perché tutta la sua persona ti faceva entrare in questo misterioso dono. “Io sono sempre la stessa, diceva, con le mie paure e le mie povertà … ma sento che Lui mi è vicino e questo cambia tutto … e poi non mi preoccupo di cosa devo dire perché so che Lui mi suggerisce ciò che va detto alle persone che mette sul mio cammino!”.
Non possiamo essere di consolazione agli altri se prima non sentiamo consolata la nostra vita … Non possiamo donare Gesù agli altri se prima non abbiamo fatto esperienza di Lui e non siamo stati in sua compagnia per vario tempo. 

Qualche volta il cammino che porta a Lui sembra tortuoso, lungo … ed invece è solo questione di aprirGli la porta della nostra vita e di accettare noi stessi come siamo rileggendo il tutto alla luce della sua presenza. Grazie ….. e che lo Spirito Santo sempre ti accompagni e sostenga. 

Auguro a tutti un vero incontro personale ed esperienziale con Gesù: Dio vi benedica!

Padre Gian Paolo

Testimonianza di Gloria Polo

Testimonianza di Gloria Polo, medico dentista colombiano che ha vissuto la sconvolgente esperienza della vista dell'aldilà durante un periodo di coma ed è stata rimandata sulla terra per raccontarlo al mondo. Agisce su mandato del vescovo di Bogotà

Gloria Polo a Latina. Colei che si è trovata alle porte del cielo e dell'inferno a seguito di un mortale incidente durante lo stato di coma irreversibile. Racconta tutto quello che succede quando ci troveremo al cospetto di Dio nel giudizio particolare e tutto quello di cui una persona in coma ha percezione… Un'esperienza unica al mondo, una testimonianza che ha cambiato tante vite, un evento assolutamente da non perdere. Appuntamento Martedì 11 Settembre, ore 19:30, Parrocchia san Michele Arcangelo, borgo san Michele Latina.

Leggete la sua storia straordinaria: Gloria Polo – Dall'illusione alla verità, potete inoltre ascoltate i file MP3 oppure guardare il video integrale dell'incontro sul sito della Parrocchia San Michele.

Un cuore nuovo

Non c’è nulla fuori dell’uomo che, entrando dentro di lui, possa renderlo impuro. Ma sono le cose che escono dell’uomo a renderlo impuro”.

La vera frontiera tra puro ed impuro passa attraverso il cuore della persona che, per il linguaggio biblico, è la sede delle decisioni umane. Tutto ciò che è esterno non lo tocca (cibi, riti, tradizioni …) perché non compromette le relazioni. Tutto quello invece che esce dal suo cuore (egoismo, orgoglio, brama del piacere, del possedere e dello sfruttamento …) rompono le relazioni con gli altri e con Dio.

Su questo dobbiamo vegliare perché qui nasce la differenza tra discepoli-credenti e non-discepoli-farisei. Le forme esteriori sono utili ed importanti solo se il cuore è formato secondo la mente di Dio fino alla creazione di una coscienza morale realmente corrispondente al Suo volere. In questo modo quanto la persona fa, le cose per cui si impegna, sono realmente trasparenza della vita divina che in Gesù è comunicata all’umanità.

La Parola di Dio rimane il criterio ultimo di giudizio dell’agire del discepolo di Gesù; la cosa importante non sono le pratiche esteriori, ma lo spirito di adesione alla volontà di Dio e di servizio del prossimo. Buona settimana e che Dio abbia a creare in te un “cuore nuovo”.

Padre Giancarlo   

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